VALENTINA on this Planet: Che qualcuno ogni tanto me lo ricordi:

Che qualcuno ogni tanto me lo ricordi:

Muere lentamente
quien se transforma en esclavo del hábito, repitiendo todos los días los mismos trayectos,
quien no cambia de marca, no arriesga vestir un color nuevo y no le habla a quien no conoce.
Muere lentamente
quien evita una pasión, quien prefiere el negro sobre blanco y los puntos sobre las "íes" a un remolino de emociones, justamente las que rescatan el brillo de los ojos, sonrisas de los bostezos,
corazones a los tropiezos y sentimientos.
Muere lentamente
quien no voltea la mesa, cuando está infeliz en el trabajo,
quien no arriesga lo cierto por lo incierto para ir detrás de un sueño,
quien no se permite por lo menos una vez en la vida, huir de los consejos sensatos.
Muere lentamente quien no viaja,
quien no lee, quien no oye música,
quien no encuentra gracia en sí mismo.
Muere lentamente
quien destruye su amor propio, quien no se deja ayudar.
Muere lentamente,
quien pasa los días quejándose de su mala suerte o de la lluvia incesante.
Muere lentamente,
quien abandona un proyecto antes de iniciarlo, no preguntando de un asunto que desconoce o no respondiendo cuando le indagan sobre algo que sabe.
Evitemos la muerte en suaves cuotas, recordando siempre que estar vivo
exige un esfuerzo mucho mayor que el simple hecho de respirar.
Solamente la ardiente paciencia hará que conquistemos una espléndida felicidad.

Martha Medeiros o Pablo Neruda?

2 commenti:

Anonimo8 settembre 2011 alle ore 11:22
Ciao Valentina!!!

Que bonito poema de Pablo Neruda, es justamente lo que tu no has dejado de hacer nunca, por lo que Nunca moriras lentamente, estas reflejada en todo lo que dice.

Ven pronto a vernos a Madrid!!!

Muchos besos y mucha suerte en tu proyecto!

Jose!!
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Valentina12 settembre 2011 alle ore 14:08
Gracias Jose,
espero verte pronto, si no en Madrid, por aquì si te vienes de visita!
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NON LASCIARE CHE TI DICANO CHE NON CE LA FARAI MAI.

2003/2004
Non lasciare nemmeno che ti dicano che non sei abbastanza bravo o preparato… O forse sbaglio… lascia che ti dicano tutto questo, ma non credere a queste parole e dimostra il contrario.
Ero al secondo anno, e per i corridoi dell’università vedo un manifesto che propone una borsa di studio di sei mesi per studiare fuori dall’Europa. Si chiama “Programma Overseas” perché tutte le destinazioni disponibili si trovano oltre oceano. Leggo la lista dei posti esotici dove poter studiare e la mia attenzione cade sull’Australia, meta tanto ambita quanto distante.
Mi informo subito sulle procedure per partecipare al processo di selezione: -Media non inferiore a 27/30 -Prova di inglese interna all’università + esame TOEFL (con punteggio minimo di 213/300) -Posti disponibili: 1 posto disponibile per gli studenti di Lettere (provenienti dalle 4 sedi dell’Università Cattolica in Italia) e 1 posto per gli studenti della facoltà di Economia.
Direi che è impossibile che il posto possa andare a me… sicuramente c’è qualcuno che ha la media più alta della mia, o che ha un livello di inglese migliore... Insomma, qualcuno meglio di me. Accantono queste considerazioni e decido di tentare, perché comunque vada non ho nulla da perdere. Presento i documenti e sostengo l’esame scritto di inglese presso la sede di Milano. Vengo chiamata per la prova di inglese orale e mi sento dire che il mio livello di inglese è mediocre, che se sostenessi l’esame Toefl non otterrei il punteggio richiesto e sarebbe quindi uno spreco di denaro, e che comunque ci sono studenti che hanno voti migliori dei miei e quindi le mie possibilità di ottenere la borsa di studio sono nulle. Come? Il mio livello di inglese mediocre? Sarà inutile, ma io questo esame Toefl lo voglio provare. Mi informo, mi iscrivo all’esame, lo sostengo presso il Politecnico di Milano e… ottengo un punteggio di 257/300!!! Alla faccia di chi mi ha detto che non avevo nessuna possibilità! Posso addirittura scegliere se volare a Perth, sulla West Coast o a Sidney.
Scelgo Sidney… e lascio tutto il resto alla vostra curiosità (o alla vostra immaginazione)… Ciò che conta è AVERCELA FATTA, E ABBONDANTEMENTE!

Ecuador, Agosto 2004

Di alcuni luoghi sono i colori... di altri i sapori... altre volte invece sono gli odori a creare i miei appunti di viaggio. dell'Ecuador sono proprio le meraviglie cromatiche ad aver lasciato i ricordi più vivi. Sono poche le fotografie che durante questo viaggio, durato circa un mese, ho scattato in bianco e nero.
I ricordi intrappolati nel mio obbiettivo hanno come soggetti i colori dei fili di lana usati per creare abiti e decorazioni, i volti coloriti dei bambini andini, con le guance arrossate dal freddo, o i rossi di un tramonto visto all'altezza di 5000 metri. La fatica di raggiungere la vetta di una cima delle Ande, con l'aria che ad ogni passo sembra mancare sempre di più nei polmoni, è compensata da una distesa di nuvole rosa, dalle quali spuntano vette irregolari illuminate dal sole (e da una meritata sigaretta che mi sono fumata in barba all'ossigeno rarefatto!).
Il mio viaggio in Ecuador ha inizio ancora prima di partire. Mi spiego: nasce dalla proposta della mia amica Alessandra di prendere parte ad un viaggio come volontarie in una scuola del Sudamerica. Mi piaceva l'idea di mettere a disposizione il mio tempo libero per un progetto di solidarietà che ci avrebbe permesso di conoscere a fondo il cuore di un Paese altrimenti poco accessibile e di entrare in contatto con le sue persone.
Imbiancare e dipingere la scuola e trascorrere i pomeriggi giocando con i bambini di strada sono state le nostre principali attività, anche se non ci siamo fatte mancare gitarelle ed escursioni! Molti ci hanno chiesto svariate informazioni su come poter fare un'esperienza di volontariato simile alla nostra. Noi ci siamo appoggiate ad un oratorio bresciano in contatto con alcune suore che gestiscono una scuola nella città di Esmeralda e di un padre missionario che opera in una piccola comunità sulle Ande. Io non sono religiosa (a differenza di Alessandra), non credo in Dio, ma sono ottimista, credo nella bontà dell'uomo e amo la bellezza di noi esseri umani! Penso che questo- divinità a parte - sia sufficiente per decidere di passare le vacanze con qualcuno che in vacanza di sicuro non ci va!

Due anni a MADRID (2007- 2009)

"Basta! Mollo tutto, vado in Polinesia e apro un chiringuito in spiaggia!"... Quante volte ho sentito questa frase pronunciata da amici dopo una giornata stressante al lavoro! Ma quante di queste persone che almeno una volta hanno pensato di volare in un posto esotico e fare la bella vita hanno poi avuto il coraggio di farlo davvero?

Io non ho mai pensato di andarmene su una spiaggia caraibica a vendere mojitos e caipirinhas ai turisti e a rosolarmi al sole, forse perché non mi piace preparare i cocktail, o forse perché non amo particolarmente la vita da spiaggia...
Ho deciso di andarmene in Spagna. L'ho deciso una mattina di gennaio del 2007. Svegliandomi da non ricordo quale sogno, ho pensato che avrei prenotato un volo per Madrid verso gli inizi di febbraio.
No, non conoscevo nessuno là, non ci stavo nemmeno andando per lavoro... Lo spagnolo? Mai studiato prima!
Quello che si prova quando si compra un biglietto di sola andata non lo so spiegare, così come mi risulta difficile descrivere quello che si sente quando, atterrati in una città nuova, si esce dall'aeroporto trascinando una valigia gigante.
L'inizio fu abbastanza duro, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di un appartamento... Ma dopo una settimana e parecchie visite a case di ogni tipo, con gente di ogni tipo, trovai quello che cercavo: un appartamento grande, da condividere con persone di varie nazionalità ma della mia stessa età.
Una volta trovata dimora, mi dedicai alla ricerca di un lavoro: avevo già messo in conto che non sarebbe stato facile, e invece, in meno di una settimana, vengo chiamata a lavorare per la scuola di inglese Wall Street Institute.
In quindici giorni tutto era sistemato, non mi restava che iniziare a vivere la mia nuova vita spagnola e cominciare ad assorbire i suoni di una lingua che fino a quel momento avevo sentito solo nelle canzoni estive.
Madrid si è fatta amare... L'ho lasciata solo due anni dopo.

Le cose troppo facili da conquistare sono insipide: nella vita bisogna farsi il culo.

Platone diceva che “tutte le cose belle sono difficili”. Io sono convinta che le cose che si conquistano con fatica, dopo un lungo lavoro, a patto di alcune rinunce, sono le cose che sappiamo apprezzare di più, e quindi sì, sono le più belle: come la soddisfazione di discutere la tesi di laurea dopo notti passate a studiare, la gioia di arrivare al mare dopo aver guidato per dieci ore, l’emozione di stare in piedi su una tavola da surf dopo aver bevuto litri e litri di acqua salata travolti dalle onde.
Da circa un anno, ho iniziato a correre. Non sono un’atleta, non corro nemmeno ad una velocità discreta, forse sono dimagrita qualche chilo correndo, ma non ho sicuramente il fisico da podista. Ciò che la corsa ha cambiato in me non è tanto l’aspetto fisico, quanto quello mentale.
Correndo, ho imparato che dopo una salita c’è sempre una discesa, e così nella corsa come nella vita, bisogna solo tener duro e avere pazienza perché nessuno dei nostri sforzi è vano. Ho imparato a sopportare il dolore fisico, perché è meglio soffrire per un crampo che per una lite con la persona che si ama.
Ho appurato la teoria della relatività del tempo di Einstein: correre sessanta minuti può sembrare un’eternità, ma questo tempo non basterebbe per vedere un film, o volerebbe se fossimo a cena con una persona che non vediamo da tempo.
Mentre correvo la maratona di NY, verso il ventesimo miglio, notai un cartello sostenuto da qualcuno del pubblico che diceva "Pain is temporary, pride is forever", ed infatti non ricordo del dolore alle gambe, ai piedi, e perfino alle braccia, ma ogni volta che vado a letto, guardo la mia medaglia e ne sono orgogliosa.
Ho imparato a credere in me stessa, anche quando mi sento dire che non ce la farò mai, perché è in quel momento che esce il meglio di noi.
Quando sono arrabbiata o triste corro di più, perché in certi momenti è meglio far andare le gambe invece della testa!

GOODBYE FRANKFURT

È facile prendere una decisione quando da un lato non si ha nulla da perdere e dell’altro non si ha nulla da guadagnare. È più difficile quando su entrambi i piatti della bilancia c’è qualcosa a cui non vorremmo rinunciare… Rifletterci troppo non serve a molto, bisogna saper pesare le cose come se fossimo salumieri o fruttivendoli del nostro destino.Io lascio Francoforte, lascio un lavoro che mi piace e che mi permette di vivere senza troppi risparmi. Lascio le persone che ho incontrato qui, e so che alcune di loro, così come il lavoro, mi mancheranno. Ma non mi mancherà la voce del tram che ogni mattina ripete le stesse fermate, non mi mancheranno le porzioni abbondanti al ristorante, gli show televisivi in tedesco, l’appartamento condiviso con una collega, la vicina che mi parla senza preoccuparsi di farsi capire… non mi mancheranno le vie del centro affollate il sabato pomeriggio e nemmeno la neve che mi ha fatto compagnia durante tutto l’inverno.Me ne torno a casa, dove c’è chi con pazienza aspetta il mio ritorno. Torno a casa, perché la domenica mattina voglio vedere il lago e bere un cappuccino. Torno a casa, e non so dire se questo ritorno segnerà la fine dei miei viaggi per il mondo… Chissà se quel vermicello che mi spinge a partire per mete nuove e lontane si sveglierà ancora per propormi un’altra destinazione? Se lo farà, lo porterò a fare colazione al lago e ne parleremo lì.

Sette mesi dopo... Gennaio 2012

Ho un bruciore di stomaco che...

Da qualche giorno, o forse da qualche settimana, il mio vermicello sta "scodinzolando" dentro di me (non so se i vermi scodinzolano, il mio sì), temo che questo sia il presagio di un risveglio. A volte faccio finta di non sentirlo, ma altre volte non posso proprio ignorarlo.

Sono appena stata al telefono con un amico che dice di aver letto con piacere i racconti sul mio blog. Abbiamo riattaccato e ho subito pensato che per scrivere un altro racconto avrei bisogno di un altro viaggio, dovrei scattare un'altra foto e trasformare quel pezzo di vita in parole. Ed è proprio questo che il vermicello sta cercando di gridarmi nell'orecchio...
Allora penso all'India, penso che vorrei arrotolare le magliette nello zaino e comprare un biglietto con destinazione Delhi.
Poi penso al mio contratto di lavoro, rinnovato per un altro anno, fino alla fine del 2012, e penso che i giorni di ferie che ho non mi basteranno mai... Probabilmente qualche anno fa avrei lasciato tutto senza pensarci troppo e sarei partita, ora non voglio voltare le spalle alla fortuna "ai tempi della crisi", ma vorrei poter conciliare questa curiosità, per me necessaria, con il resto della mia vita.

Nel frattempo cerco un anestetizzante, qualcosa che possa indurre sonnolenza al vermicello, penso che potrei trascorrere qualche giorno a Roma o a Vienna, sperando che la necessità di allontanarmi da qui si possa acquietare... Forse un giorno quel vermicello se ne andrà... O forse è una dannazione, e chi è dannato lo è per sempre?

SUDAFRICA ... Over the Rainbow...

La parola Sud Africa richiama nelle vostre menti immagini più svariate: qualcuno chiede dei leoni, altri chiedono del clima, altri del cibo... ma credo che nessuno abbia un'idea chiara di cosa ci sia laggiù, in quei luoghi remoti nella punta del Continente Nero... e nemmeno io prima di farci capolino.

Per i più ignoranti in geografia, sottolineo che il Sudafrica è uno stato, non è semplicemente il sud dell'Africa! Mi è capitato di dire: "Vado in Sudafrica" e di sentirmi rispondere "Ma dove esattamente? in Namibia? giri tutto il sud?"... il Sudafrica è uno stato, definito anche "the rainbow nation", la nazione arcobaleno, di chi non vuole più essere solo "in bianco e nero".

A chi mi chiede che cos'ho visto, rispondo sempre che ho visto cose belle e cose brutte.

Johannesburg è una città che non ti accoglie, forse perché la nostra pelle bianca ricorda un passato di segregazione difficile da perdonare...

Abbiamo subito capito che per vedere la bellezza del Sudafrica, bisogna uscire dalle città, e lasciarsi affascinare da una natura che è riuscita a lasciarci a bocca aperta come due bambini.

Il Sudafrica non ti abbraccia, ti scuote e ti butta in faccia le sue contraddizioni. La povertà di molta gente, che chiama "casa" una baracca fatta di quattro lamiere e un pezzo di plastica, dove le giornate passano lente senza un lavoro, e le notti arrivano prima senza l'illuminazione elettrica... in contrapposizione con la ricchezza della natura, che si mostra nella sua maestosità e ti fa sentire un puntino nel mondo.

VALENTINA on this Planet